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I giovani chiedono un’Europa più unita

Esistono tre diverse Europe. La prima è quella che abbiamo conosciuto sinora, bocciata dal referendum britannico. La seconda è quella degli stati disuniti d’Europa, ovvero del progressivo ritorno ai vecchi confini. La terza è quella di un vero e convincente rilancio. Un’Europa di successo ha bisogno delle nuove generazioni, ma è anche vero che un futuro di successo per le nuove generazioni è più facile ottenerlo con un’Europa forte. Questa è una consapevolezza che i giovani hanno in larga misura chiara, come conferma la ricerca dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo, commissionata dall’Agenzia nazionale giovani, basata sui dati di un’indagine internazionale rappresentativa della popolazione tra i 18 e i 32 anni. La rilevazione è stata condotta a metà luglio, quindi a poche settimane da Brexit, nei sei paesi europei demograficamente più rilevanti: Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Spagna e Polonia.

I dati mostrano una valutazione critica degli intervistati su come il progetto europeo è stato sinora interpretato e realizzato, ma anche una netta convinzione che quella dei paesi smembrati che mandano in ordine sparso le nuove generazioni verso il futuro, non sia la soluzione auspicabile.

Fare dell’Italia un paese per giovani è la sfida del futuro

E’ bene o male che sempre più persone, soprattutto giovani qualificati, decidano di trasferire la propria residenza in paesi che offrono maggiori possibilità di crescita? Le opinioni sulla crescente mobilità internazionale del capitale umano delle nuove generazioni si dividono in modo netto nel dibattito pubblico italiano, ma non esiste una risposta semplice ed univoca. Come tutte le grandi trasformazioni sociali, anche questa porta con sé sia potenziali rischi sia nuove opportunità. Per contenere i primi e favorire i secondi serve uno sforzo combinato di miglioramento nella lettura della realtà in mutamento e di intervento con politiche efficaci.

La generazione senza futuro

I paesi che forniscono ai giovani strumenti efficaci di incontro tra domanda e offerta di lavoro, che consentono ai giovani di formarsi con adeguate capacità e competenze, che stimolano il sistema produttivo a valorizzare il capitale umano dei nuovi entranti,  sono quelli che meglio possono crescere facendo leva sulla qualità del contributo delle nuove generazioni. Al contrario, i paesi che meno agiscono in tale direzione sono quelli che trasformano maggiormente i giovani da potenziale risorsa per la crescita a costo sociale.

Senza passione non si insegna

Quand’è che una scuola è davvero buona? Quando ospita gli alunni in edifici non fatiscenti, se possibile anche accoglienti. Quando offre di strutture avanzate di apprendimento, se possibile anche digitali. Quando consente di trasmettere ai giovani non solo conoscenze ma anche competenze, se possibile non solo utili per il lavoro ma anche per la vita. Tutto questo è importante, perché è esattamente quello che i ragazzi chiedono e spesso non trovano nel loro percorso di istruzione. Non se ne accorgono subito ma un po’ dopo, quando affrontano il mondo del lavoro e le grandi scelte della vita. E’ in quel momento che quello che manca nel loro bagaglio formativo e culturale si fa sentire e penalizza il loro successo sociale e professionale. Non è un caso se l’Italia è uno dei paesi con incidenza più elevata di Neet in Europa, ovvero di giovani che dopo esser usciti dai portoni della scuola si perdono nel tortuoso e nuboloso percorso che porta ai cancelli del mercato del lavoro. Quello che chiedono, documentato dai dati dell’indagine Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo, sono competenze avanzate ma anche competenze sociali. Considerano la scuola importante non solo e non tanto per ottenere un lavoro ma per trovare il proprio posto nel mondo.

La condizione di molti giovani è quella di disorientamento di fronte ad una realtà sempre più complessa e in continuo mutamento. Per non trovarsi ai margini di tali cambiamenti, per non trovarsi schiacciati in difesa dai rischi, ma cogliere le nuove opportunità, hanno bisogno di strumenti utili a capire come il mondo cambia e come agire con successo in esso. Hanno bisogno di riempire di senso e di valore le proprie scelte, per non cadere nella condizione di “insignificanza” che rende tutto buio, sia la realtà circostante sia il futuro che li aspetta. Riesce maggiormente a inserirsi in un percorso virtuoso di riconoscimento delle proprie capacità, di incoraggiamento a mettersi in gioco, di miglioramento della propria condizione chi trova attorno a sé figure educative solide, stimolanti e appassionate.

Torniamo allora alla domanda iniziale. Quand’è che una scuola è davvero buona? Tutte vere le risposte date sopra, ben presenti negli intenti del Governo. Ma c’è una risposta ancora più importante che spesso sottovalutiamo quando confrontiamo le diverse ragioni del Ministero e degli insegnanti, come nel caso delle richieste di trasferimento e delle reazioni accese suscitate.

Il punto di vista da tener sempre presente è quello degli alunni. Quello che per loro conta più di tutto, perché lascia i segni più positivi sulla loro crescita, è il vedere l’attenzione, la passione, la dedizione con la quale l’insegnante svolge il proprio ruolo. Quello che dobbiamo chiedere a tutti è, pertanto, che venga migliorato soprattutto questo aspetto della scuola se vogliamo che sia davvero buona per le nuove generazioni. Se il Ministero, pur nelle migliori intenzioni, impone proprie scelte non chiare nei fini e con inefficienze a carico degli insegnanti sui mezzi, rischia di produrre effetti secondari negativi che compromettono i benefici finali attesi. Se gli insegnanti si trincerano in difesa e rifiutano scelte di interesse collettivo per ottenere qualche vantaggio personale, rischiano di perdere il vero valore del proprio ruolo e di trovarsi poi con classi ingestibili e con un Ministero che si sente legittimato ad imporre.

Tutto questo è lo scenario che dobbiamo evitare se davvero interessa a tutti una buona scuola non solo come slogan.