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Dal fallimento delle startup la chiave della crescita

L’Italia deve ripartire dopo un periodo di bassa crescita interrotto da una prostrante crisi ormai quasi alle spalle. Ma da dove e come ripartire?  Tra le poche e confuse idee che circolano sulla risposta da dare, le convinzioni più forti indicano come fattore di traino per il rilancio le aree economicamente più dinamiche e le nuove generazioni. Sul come fare le idee sono ancora meno chiare ma si sta imponendo sempre di più la tesi che la punta avanzata della soluzione per far ripartire l’Italia attraverso i giovani siano le start-up. Il paese che ha il record di Neet e di Expat che non ritornano, ritrova ottimismo quando restringe lo sguardo su quelle parti del territorio in cui una quota molto ristretta di giovani riesce a far diventare un’idea innovativa una impresa di successo. Teniamo però presente che di giovani noi ne abbiamo meno degli altri paesi. Consideriamo poi che la percentuale di laureati tra i giovani è più bassa in Italia rispetto al resto del mondo avanzato. Aggiungiamo, infine, che i ragazzi con idee innovative sono una piccolo sottoinsieme e che solo una idea su dieci sopravvive e una su cento raggiunge davvero il successo.

Come favorire la transizione scuola-lavoro

Capita spesso di leggere sui giornali o sentire nei dibattiti televisivi che il lavoro se uno lo cerca bene e si adatta lo trova. Se quindi molti giovani sono disoccupati è soprattutto colpa loro che non si rimboccano le maniche quanto serve. Come spesso accade la realtà è un po’ più complessa rispetto agli stereotipi di cui è piena l’opinione pubblica. Sono vari i motivi della presenza di opportunità di lavoro che faticano a trovare manodopera adeguata in un contesto di alta disoccupazione giovanile. Ne elenchiamo quattro, ben intrecciati tra di loro. Il primo è legato al fatto che molte aziende non utilizzano modalità e contenuti adeguati nel pubblicizzare l’offerta rispetto al target specifico di interesse. Il secondo è da ricondurre alla carenza di solidi canali istituzionali di incontro tra domanda e offerta, tanto che la larga maggioranza delle persone continua a trovare lavoro attraverso la rete parentale e amicale. Il terzo fattore è di tipo culturale.

L’istruzione rende di più all’estero che in Italia

Un territorio può crescere e prosperare se mette i propri abitanti nelle condizioni di realizzare, come singoli e come parte di una comunità, obiettivi economici e sociali rilevanti. Tali obiettivi possono essere ottenuti con tanto più successo quanto maggiore è la dotazione di capitale umano del territorio. I processi di sviluppo delle economie avanzate hanno, in particolare, bisogno di formazione di qualità e competenze continuamente aggiornate. Il titolo di studio è una buona misura del capitale umano non solo perché chi ha formazione più elevata parte con un patrimonio maggiore di conoscenze e competenze di base, ma anche perché con più facilità viene immesso in un percorso virtuoso di miglioramento e aggiornamento continuo.

La generazione stage chiede vero lavoro

Il lavoro per un paese è come il vento per una barca a vela. Se non soffia, la barca rimane ferma. Ma ciò accade anche se le vele, per imperizia, non sono ben disposte. E’ inoltre vero, citando Seneca, che nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa dove andare. In questi anni abbiamo sentito molte discussioni sul vento che mancava o che cambiava, ma poco si è ragionato sulla direzione da intraprendere. Irrisolta è rimasta, in particolare, la questione di quale lavoro per quale modello di sviluppo.

La parabola di Matteo e le opportunità da non sprecare

Ci riferiamo all’autore della citatissima parabola dei talenti, un brano insidioso che si presta a interpretazioni strumentali. Non a caso ne esistono due versioni. In quella nel Vangelo di Matteo il servo a cui viene dato di meno si accontenta poco virtuosamente di conservare ciò che ha, mentre i due servi a cui viene dato di più raddoppiano entrambi la dote iniziale. La meno nota variante nel Vangelo di Luca – dove si usa la meno preziosa mina rispetto al talento – prevede invece che il padrone dia a tutti i servi lo stesso ammontare. La domanda che ci si può porre è perché sia diventata più famosa ed utilizzata la prima versione rispetto a questa più equa di Luca. Perché, in altre parole, funziona meglio come insegnamento l’idea che i meno dotati meritino la propria più bassa condizione?