Topic: popolazione, risorse e sviluppo

Cerchi un lavoro? Devi essere single

 

La preoccupazione principale per un paese che vuole crescere dovrebbe essere quella di mettere i giovani nelle condizioni di realizzare con successo – in tempi e modi adeguati e desiderati – il percorso di entrata nella vita adulta. Se infatti le nuove generazioni non accedono ad una posizione solida nel mondo adulto produttivo, l’economia, in prospettiva, non può crescere. Allo stesso modo se i giovani invecchiano senza formare una propria famiglia, la demografia diventa progressivamente più fragile. I dati dell’ultimo Rapporto annuale Istat ci dicono che gli under 35 italiani, rispetto ai coetanei europei, sono più frequentemente senza lavoro e senza figli. Le politiche che consentono di integrare tali due obiettivi costituiscono l’asse portante di una società che produce benessere. Senza tale asse, i percorsi professionali e di vita rischiano di avvitarsi verso il basso. Molto più che negli altri paesi avanzati chi in Italia forma una famiglia, soprattutto se donna, si trova a rinunciare al lavoro. Se invece punta sul lavoro, si trova a rinviare e a ridurre la costruzione di una relazione di coppia solida e feconda.

Calo demografico. Ci sono molti segni positivi per un ritorno delle nascite

Siamo sempre di meno e sempre più vecchi. Questo in estrema sintesi si conferma essere il ritratto della demografia del nostro Paese che emerge dall’ultimo Rapporto annuale dell’Istat. L’immigrazione non risulta più in grado di colmare il sempre più ampio divario tra nascite in riduzione e decessi in aumento. Il motivo principale è l’ormai cronica bassa natalità che porta con sé sia una riduzione della popolazione sia un inasprimento degli squilibri strutturali tra vecchie e nuove generazioni. La grande recessione ha peggiorato un quadro già problematico, confermando quanto le condizioni economiche presenti e l’incertezza sul futuro pesino sull’assunzione di scelte di lungo periodo come la nascita di un figlio. Non è un caso che il nostro Paese sia allo stesso tempo quello con più alto numero di under 30 che dopo gli studi non riescono ad entrare nel mondo del lavoro (i cosiddetti Neet) e quello con fecondità crollata maggiormente prima dei 30 anni.

Demografia 2.0

Non esiste nulla di più dinamico, teoricamente senza limiti nel suo rinnovo continuo, di una popolazione. Ci sono popolazioni in crescita, altre in declino, altre che passano dal declino alla crescita o viceversa, ma mai ferme. In nessun paese del mondo la popolazione di oggi è uguale a quella dell’anno scorso.

L’eterno rinvio del primo figlio: le donne italiane ultime in Europa

 

In tutti i Paesi sviluppati si diventa genitori più tardi che in passato. Un recente rapporto dell’Istituto di statistica francese mostra come l’età media in cui le donne d’Oltralpe diventano per la prima volta madri sia passata da 24 anni nel 1974 a 28,5 nel 2015. I motivi indicati sono l’estensione dei percorsi d’istruzione e l’aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Ma se le ragioni fossero solo queste, non si spiegherebbe la maggior posticipazione del nostro Paese, dato che la percentuale di laureate e occupate è da noi più bassa. In Italia il primo figlio arriva in media a 30,8 anni, rispetto ad una media europea pari a 28,9. È interessante inoltre notare che non solo il dato italiano è il più elevato in Europa, ma è all’incirca pari all’età in cui le francesi diventano madri per la seconda volta. In altre parole, quando le italiane hanno il primo figlio, le coetanee d’Oltralpe stanno già aspettando il secondo.

In un milione di famiglie guadagna solo lei

L’Italia è come un pugile che resiste sul ring senza stramazzare sul tappeto grazie ad una grande capacità di incassare i colpi. Se dovessimo giudicare l’Italia, come qualsiasi altro paese sviluppato, in base agli indicatori economici e sociali, avremmo dovuto darla per spacciata già da molto tempo. Visto da fuori il nostro Paese è un enigma. Non si riesce a capire né perché non reagisca e né perché non sia già crollato. Se questo era vero prima della grande recessione, vale ancor di più oggi per il peggioramento subìto su occupazione e redditi.