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Mamme e lavoro, le nuove garanzie al tempo del Covid

Quella che si celebra oggi è una festa della mamma molto particolare, che cade in un punto indefinito tra una vecchia quotidianità perduta e una nuova normalità tutta da reinventare. Consolidati strumenti di supporto e abituali punti di riferimento risultano messi in discussione.

Mentre non è ancora chiaro cosa verrà ripristinato, cosa verrà perso per sempre, e a cosa di nuovo bisogna prepararsi. Molte madri si trovano così, in questa fase di passaggio, a far fronte ad una combinazione tra inasprimento delle difficoltà oggettive e accentuazione dell’incertezza verso il futuro. Si ottiene un variegato mix di rinunce, complicazioni e insicurezza che colpisce, con dosi differenziate, tre condizioni che ruotano attorno alla relazione con i figli e al rapporto con il lavoro.

La prima è quella delle madri che si trovano a rinunciare alla propria realizzazione professionale. L’Italia, già prima della pandemia presentava una bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro – come documenta un recente report del Laboratorio futuro dell’Istituto Toniolo – con valori ancor più bassi per le donne con bambini piccoli. Condizione che espone a maggior incertezza economica con corrispondente alto rischio di povertà infantile.
La seconda è quella di chi vorrebbe diventare madre ma, per mancanza di lavoro o per incerto percorso di carriera, si trova a rinviare continuamente tale scelta. L’Italia, già prima della pandemia, presentava uno dei tassi di fecondità tra i più bassi in Europa e una delle più tardive età al primo figlio. L’impatto di Covid-19 rischia di peggiorare notevolmente questo quadro, come mostrano le stime sulla natalità pubblicate dall’Istat. Mettere le donne nelle condizioni di poter realizzare – in modo integrato e con successo – scelte che generano valore sociale ed economico, deve stare alla base della nuova normalità se vogliamo trasformare, nei fatti e non solo a parole, la crisi sanitaria in una discontinuità positiva.

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Coronavirus, ultima occasione di una politica per le famiglie

Tutti auspichiamo di poter tra qualche anno ricordare l’epidemia di Covid-19 come una discontinuità che ha permesso al paese di mettere in discussione ciò che non funzionava e dare slancio ad una crescita solida su basi nuove. Dobbiamo, però, aver oggi ben chiara la consapevolezza che non è per nulla scontato che ciò avvenga e che non c’è nessun automatismo che spinga in tale direzione. Sarà possibile riuscirci solo con idee chiare su quale Italia vogliamo e possiamo essere, agendo con grande determinazione sulle potenzialità del sistema paese, sulle risorse da indirizzare, sulle capacità da valorizzare, sui desideri e le energie da mobilitare. Senza una forte volontà di riorganizzare e riorientare il processo di sviluppo, il rischio è quel-lo di passare dall’emergenza sanitaria ad un intreccio ingestibile di emergenza economica e demografica.

Quelle scelte tra figli e lavoro che frenano la crescita italiana

Una delle sfide principali che l’Italia deve affrontare nei prossimi decenni è crescere – in termini di ricchezza economica e benessere sociale – in una fase di riduzione senza precedenti della popolazione in età lavorativa. Si potrà vincere tale sfida non solo attraverso l’estensione in verticale della vita lavorativa ma anche migliorando in orizzontale le opportunità di effettiva partecipazione di tutti alla vita attiva del paese.

Il sistema si salva con politiche su immigrazione e natalità

Dal punto di vista demografico, ma non solo, possiamo dividere l’intero pianeta in “partes tres”. La prima parte fino alla metà del secolo scorso coincideva con l’intero mondo, ora raccoglie circa metà degli stati, ma è destinata a trovarsi praticamente vuota alla fine di questo secolo. E’ composta dai paesi con una fecondità superiore ai due figli in media per donna.

Son (quasi) tutte vuote le culle d’Italia

Cosa c’è di nuovo nei dati sulla demografia italiana aggiornati al 2017 e di recente pubblicati dall’Istat? Nel 2013 siamo scesi a 513 mila nascite, che allora era il livello più basso della nostra storia nazionale. Ogni anno successivo siamo scivolati però ancora più in basso e questo vale anche per il 2017, che con 464 mila nati ci porta ancora una volta a dire: “mai così pochi dal 1861 a oggi”. Il prossimo anno riusciremo a fare ancora peggio o vedremo finalmente i segnali della ripresa post crisi stimolati e sorretti da adeguate politiche?