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Più squilibri demografici, più disuguaglianze sociali

Nelle società del passato la durata di vita era mediamente molto breve a causa di alti rischi di morte a tutte le età. Oggi alcune limitate aree del pianeta si trovano ancora in tale condizione, ma la grande maggioranza della popolazione mondiale vive in contesti in cui l’aspettativa di vita è in continuo miglioramento.

L’eterno rinvio del primo figlio: le donne italiane ultime in Europa

 

In tutti i Paesi sviluppati si diventa genitori più tardi che in passato. Un recente rapporto dell’Istituto di statistica francese mostra come l’età media in cui le donne d’Oltralpe diventano per la prima volta madri sia passata da 24 anni nel 1974 a 28,5 nel 2015. I motivi indicati sono l’estensione dei percorsi d’istruzione e l’aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Ma se le ragioni fossero solo queste, non si spiegherebbe la maggior posticipazione del nostro Paese, dato che la percentuale di laureate e occupate è da noi più bassa. In Italia il primo figlio arriva in media a 30,8 anni, rispetto ad una media europea pari a 28,9. È interessante inoltre notare che non solo il dato italiano è il più elevato in Europa, ma è all’incirca pari all’età in cui le francesi diventano madri per la seconda volta. In altre parole, quando le italiane hanno il primo figlio, le coetanee d’Oltralpe stanno già aspettando il secondo.

L’età del mondo. L’analisi

La demografia è particolarmente efficace nel raccontare il mondo che cambia. Una delle conquiste di cui essere più orgogliosi è l’aver reso la mortalità infantile da esperienza comune ad evento raro. Un risultato quasi perfettamente raggiunto nei paesi più ricchi, ma ancora lontano dall’essere realizzato in molti paesi poveri. In alcune aree del pianeta la situazione non è molto diversa dall’Italia nei primi decenni dell’Unità: una popolazione molto giovane, alimentata da una fecondità attorno ai cinque figli per donna, ma anche con alti rischi di morte e povertà diffusa. A trovarsi oggi in questa situazione, non invidiabile, sono soprattutto alcuni paesi dell’Africa centrale.

Il cambiamento inizia quando si intravede la possibilità di miglioramento passando dalla quantità di figli all’investimento sulla loro qualità. La fecondità tende allora a scendere attorno ai due o tre figli, con vita più lunga e aspettative crescenti di mobilità sociale. E’ il ritratto dell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta, molto simile a paesi oggi emergenti, con ruolo molto dinamico delle nuove generazioni sia nei processi di crescita che di emigrazione. Al censimento del 1951 l’età media della popolazione italiana era attorno ai 30 anni, con una struttura demografica non molto dissimile dall’Albania, dalla Tunisia e dalla Turchia di oggi.

L’aumento delle condizioni di salute e di benessere hanno portato le vite nei paesi più ricchi ad estendersi in età sempre più avanzata. Aumentano quindi gli anziani, ma in alcuni paesi – come Giappone, Italia e Germania – l’invecchiamento è accentuato da una fecondità che scende molto sotto i due figli. Abbiamo trasformato da evento raro a condizione sempre più comune il diventare anziani ma aperta è la sfida di costruire una società matura di successo.

Calo delle nascite. I rischi di un Paese senza fiducia nel futuro

I dati più recenti dell’Istat sulle nascite dovrebbero preoccuparci seriamente, perché – sia guardando alle cause che alle conseguenze – ci dicono che stiamo smantellando le basi su cui ogni società fonda la speranza di un proprio futuro migliore. Il succedersi delle generazioni è l’elemento chiave della dinamica demografica e quindi della continuità del genere umano. Ogni generazione produce, nel corso del proprio corso di vita, beni materiali ed immateriali. Ma c’è un bene ancora più importante rispetto ai flussi economici, sociali e culturali intergenerazionali, si tratta, appunto, dalle nuove generazioni stesse. I membri delle nuove generazioni sono le pietre con le quali una comunità costruisce il proprio solido ponte tra l’oggi e il domani: si possono immaginare le merci più belle e preziose da trasportare, ma se il ponte rimane incompiuto, non potranno mai giungere ad alcuna desiderata destinazione futura.

Facciamo pochi figli, ma servono più incentivi

E’ vero, gli italiani fanno pochi figli, da molti punti di vista. Ne fanno molti meno rispetto ai francesi, agli americani, agli inglesi, agli svedesi e a gran parte del mondo occidentale. Ne fanno molti meno anche rispetto a quanto considerato auspicabile per un equilibrato rapporto tra generazioni. Il numero medio di figli per donna è infatti persistentemente e marcatamente inferiore a due. Il dato Istat più recente è pari a poco più di un figlio e un terzo. Questo significa che stiamo viaggiando con generazioni di figli via via meno consistenti rispetto a quelle dei genitori. In prospettiva ciò porta, anche tenendo conto dei flussi migratori, a rendere il nostro paese uno di quelli con carico maggiore al mondo di anziani sulla popolazione attiva.