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La priorità di un Paese che non forma né assume i suoi pochissimi figli

L’Italia ha conquistato nello scenario mondiale un posto di punta nella transizione demografica quando, nella prima metà degli anni Novanta, è diventata il primo paese a trovarsi con le persone in età da pensione in quantità superiore a quelle in età scolastica. Nel dibattito pubblico e nell’agenda politica la questione demografica è entrata soprattutto come preoccupazione per il processo di invecchiamento della popolazione.

I giovani ben formati in Italia sono troppo pochi. E quei pochi vanno all’estero

L’Italia rischia di non riuscire a rilanciare dopo la crisi sanitaria la propria economia e alimentare i propri processi di sviluppo, cogliendo le opportunità della transizione verde e digitale, soprattutto per carenza di energia. Da troppo tempo da noi risulta, infatti, scarsa, dispersa, utilizzata in modo poco efficiente la risorsa più importante e strategica per far funzionare un Paese e mantenerlo competitivo a livello internazionale. Questa risorsa energetica è costituita dai giovani ben preparati e qualificati.

È scarsa perché di giovani ben formati ne abbiamo meno rispetto agli altri paesi con cui ci confrontiamo. L’incidenza degli under 30 sulla popolazione italiana non arriva al 28% ed è il valore più basso in Europa. Tra le più basse è anche la quota di laureati in età 30-34 anni: sotto il 27% contro una media europea oltre il 40%. È energia dispersa perché presentiamo un saldo negativo cresciuto nel tempo tra giovani con alte qualifiche che vanno a cercare migliori opportunità all’estero rispetto a quelli che attraiamo, come ben documentato nel Rapporto Bes 2021.

L’utilizzo poco efficiente della risorsa giovani è misurato dalla percentuale di Neet: nella fascia 25-29 coloro che non studiano e non lavorano sono quasi il 30% ed è, di nuovo, il dato peggiore tra i paesi membri dell’Unione europea, con un divario che non si è ridotto nel tempo ed è anzi ulteriormente peggiorato con l’impatto della pandemia. La bassa valorizzazione in Italia del capitale umano delle nuove generazioni porta inoltre ad un maggior rischio di sottoccupazione e di trovarsi nella condizione di working poor. Tutto questo ha poi ricadute sulla realizzazione dei progetti di vita, come testimonia l’età media al primo figlio che risulta la più tardiva in Europa.

Il processo di miglioramento della condizione delle nuove generazioni non parte però da zero. Per risollevare l’economia italiana e mettere le basi di una nuova fase di sviluppo con nuove opportunità per i giovani sono disponibili finanziamenti di entità del tutto inedita, ottenuti dai governi precedenti attraverso il fondo Next Generation Eu. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che contiene i progetti da finanziare attingendo da tale fondo ha ottenuto l’anno scorso il via libera dalla Commissione europea. Alla nuova legislatura e, quindi, al nuovo Governo è affidato il compito cruciale di una concreta ed efficace realizzazione, visto che i finanziamenti concessi devono essere utilizzati entro il 2026.

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Un piano inclinato che penalizza i progetti di vita dei giovani

Supponiamo che l’Italia sia un centometrista finora riuscito a mantenere un livello di competitività comparabile con gli altri atleti di punta. Cosa succederebbe, però, se la sua corsia cominciasse ad avere un dislivello maggiore rispetto alle altre e crescente nel tempo? Fuor di metafora, l’Italia dovrà riuscire a generare sviluppo economico, innovazione, benessere sociale, non solo con una popolazione anziana in continuo aumento, ma soprattutto con un indebolimento inedito e accentuato della popolazione in età attiva.

L’Italia è, da tempo, diventata un caso di studio in tutto il mondo per la sua persistente bassa natalità e per gli squilibri generazionali conseguenti. Correva l’anno 2005 quando The Economist, in un ampio servizio dal titolo “Addio, Dolce Vita” scriveva che “Italy’s demographics look terrible”. Veniva sottolineato come con una media di 1,3 figli per donna il Belpaese stesse andando incontro a conseguenze devastanti sulla crescita economica e la sostenibilità sociale.

Dare più peso ai giovani. Una spinta verso il futuro

Nel mondo in cui viviamo è sempre più indispensabile anticipare i cambiamenti e includere nelle scelte di oggi il benessere di domani. Questo significa non limitarsi a difendere le posizioni raggiunte, i diritti acquisiti, le sicurezze del passato, ma mettersi in sintonia con la realtà che cambia, con attenzione ai nuovi rischi emergenti e alle nuove opportunità da cogliere. Dove ciò non avviene, la società si arrocca in difesa di ciò che si ha timore di perdere – fronte sul quale sono maggiormente propense a schierarsi le generazioni più mature – mentre diventa più debole la capacità di generare nuovo benessere in coerenza con le trasformazioni in atto (fronte sul quale tendono più naturalmente a disporsi le nuove generazioni).

Perchè i giovani rischiano di perdere la fiducia nella nostra democrazia

Il 2020 è stato l’anno dell’emergenza causata da Covid-19. Il 2021 l’anno della protratta convivenza con il virus. Il 2022 avrebbe dovuto essere quello della ripartenza. Ma ancora una volta ci troviamo con un anno molto diverso da come auspicavamo. Speravamo di poterlo in futuro ricordare come il punto di partenza di un’Italia capace di cogliere la discontinuità della pandemia come occasione per una nuova fase di sviluppo. Per riuscirci sono necessarie risorse inedite. A questa condizione ha risposto il Piano europeo Next Generation Eu. Una condizione che rischia di risolversi in un grande spreco e in ulteriore aumento di debito pubblico se i finanziamenti non vengono indirizzati in modo efficiente per misure strutturali in grado di superare gli annosi limiti del passato e diventare leva per la crescita. Ma contestualmente è richiesto un ripensamento dello stesso concetto di crescita, in coerenza con nuove sensibilità e nuove sfide rispetto alle condizioni e alle modalità per generare benessere nei processi di sviluppo sostenibile. Il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza), pur con alcune lacune e criticità, ha cercato di interpretare il momento storico del paese attraverso la definizione di priorità, strumenti e obiettivi.