Topic: giovani

Andarsene deve essere una scelta, non un obbligo

Tra il Made in Italy che piazziamo bene all’estero ci sono sempre più anche gli italiani stessi, spesso di buona qualità. L’espatrio dal Belpaese è, del resto, un fenomeno sempre più ampio ma anche sempre più complesso e articolato. Va prima di tutto considerato che la facilità di spostamento e di accesso a opportunità virtualmente presenti in qualsiasi altro paese del mondo, rendono oggi molto più comune e praticabile la scelta di viaggiare per svago, studio e lavoro.

La forza debole dei giovani nell’Italia dell’anti-miracolo economico

L’Italia dei primi decenni del dopoguerra, quella del miracolo economico, era ricca soprattutto di giovani, a loro volta pieni di energia da convogliare verso un futuro di maggior benessere. Al censimento del 1951 la metà dei residenti nello stivale aveva meno di 30 anni, un valore analogo a quello della popolazione mondiale di oggi.

Tali giovani facevano parte di una generazione che partiva da modeste condizioni economiche, ma con grande desiderio di migliorare e con spazi aperti per provarci. Una generazione che si è trovata ad aggiustare al rialzo le proprie aspettative con corrispondente aumento della mobilità sociale. Non c’erano diritti o posizioni da difendere, ma nuovo benessere da costruire. Era molto più la promessa di ciò che si poteva ottenere uscendo dalla casa dei genitori che la certezza di ciò che si aveva rimanendo. Una generazione che oltre al boom economico ha messo le basi anche del boom demografico.

Quel mondo appare oggi molto lontano, non solo in senso temporale ma anche rispetto alle condizioni in cui nascono e crescono le nuove generazioni. Oggi i giovani sono di meno, partono da condizioni di benessere maggiori rispetto alle generazioni passate, ma trovano meno spazio, soprattutto in Italia, per essere soggetti attivi di nuova crescita.

Un nodo gordiano blocca il paese

Dagli anni ottanta in poi siamo diventati un paese che si è difeso dai cambiamenti anziché coglierne le opportunità (Rosina e Sorgi 2017). Questo trincerarsi in difesa, collettivo e individuale, è ben rappresentato da due indicatori che si sono sistematicamente posizionati oltre la soglia di guardia, facendoci così entrare in una spirale di bassa crescita e alti squilibri generazionali e sociali. Si tratta del prodotto interno lordo, inabissato sotto il debito pubblico, e la consistenza demografica della generazione dei figli, precipitatasotto quella dei genitori. Come eredità di questo modello di sviluppo bloccato ci troviamo ora ad avere una delle combinazioni peggiori al mondo tra alto debito pubblico e bassa presenza della nuove generazioni nei processi di produzione di nuova ricchezza.

Il Paese è come bloccato da un nodo gordiano che soffoca la presenza dei giovani nel mondo del lavoro, depotenziandola molto più della semplice riduzione prodotta dalla denatalità e dal conseguente “degiovanimento” della popolazione. I dati del Rapporto Istat 2016 mostrano come la fascia 15-34 abbia perso circa 2 milioni di occupati tra il 2008 e il 2015 (-28,1%). Nella prima metà degli anni Novanta il tasso di occupazione degli uomini di 30-34 anni era superiore al 90%, mentre oggi supera di poco il 75%, Viceversa, sono invece in forte crescita gli occupati over 50. Insomma, mentre l’occupazione in età matura si sta avvicinando alla media europea, quella giovanile ne rimane drammaticamente lontana.

Squilibri generazionali e mercato del lavoro

Confrontiamoci un attimo con la Francia, un paese che ha un numero di abitanti simile al nostro. Mentre i francesi hanno mantenuto quasi costante nel tempo il contingente delle nascite, attorno a 800 mila per anno, noi siamo progressivamente scesi fino a meno di 500 mila (Istat, 2017). Se confrontiamo la popolazione degli over 35 tra i due paesi siamo un po’ di più noi, ma sotto i 35 anni il rapporto si inverte nettamente: nella fascia 25-34 risultiamo essere oltre un milione in meno e in quella 15-24 ben un milione e mezzo in meno.

Il divario aumenta se consideriamo il numero di giovani occupati. Tale valore era, nel 2006, pari a 2,2 milioni in Francia e 1,5 milioni in Italia (http://ec.europa.eu/eurostat/web/lfs/data). A dieci anni di distanza ne troviamo oltre 2 milioni nel primo paese e meno di 1 milione nel secondo. Nello stesso periodo, tra i 55 e i 64 anni la Francia è salita da 2,7 a 3,9 milioni di occupati, e l’Italia da 2,3 a 3,7 milioni. Si è quindi ampliato il divario sui giovani occupati, mentre si è ridotto quello in età matura.

Va poi considerato che la Francia non è uno dei paesi più virtuosi sul lato dell’occupazione giovanile. Il nostro tasso è pari al 16%, quello francese al 27%, quello medio europeo al 33%. La Francia però recupera più avanti: in età 25-29 il tasso di occupazione per tale paese e per la media Ue-28 è attorno al 73% mentre per l’Italia è 20 punti sotto (circa 53%).

Squilibri generazionali e diseguaglianze sociali

L’Italia povera di giovani si trova, inoltre, anche con giovani sempre più poveri. I dati Istat mostrano che nel 2015 la condizione di povertà assoluta delle famiglie con persona di riferimento sotto ai 35 anni è diventata più frequente (10,2%), mentre invece è scesa al 4% per le famiglie di anziani. In coerenza con questi squilibri crescenti è rallentata la formazione di nuovi nuclei familiari ed è diminuita la natalità. Non è un caso se siamo una delle società avanzate con più bassa formazione di nuclei familiari prima dei 30 anni e, conseguentemente, con fecondità più bassa prima di tale età (Eurostat 2015).

Una questione politica

Senza un “Piano Paese” che destini il massimo impegno e le maggiori risorse a dare consistenza e forza alla nuove generazioni, difficilmente potremo tornare a creare più ricchezza e benessere di quanto ne consumiamo.

Nessun governo sinora è riuscito a sciogliere davvero il nodo gordiano che blocca l’accesso dei giovani italiani al futuro individuale e collettivo desiderato. Forse anche perché tale nodo si è nel tempo intrecciato, sempre di più, con timori di perdere vecchie sicurezze, difesa di interessi di parte, posizioni di rendita, privilegi acquisiti.

Narra la leggenda che Alessandro Magno – per liberarsi dai vincoli del passato e lanciarsi verso nuove conquiste – abbia alla fine deciso di dare un taglio netto al nodo. Stiamo ancora aspettando un Governo con lo stesso coraggio.

Un nuovo progetto riformista con al centro le nuove generazioni

Senza riforme ci si tiene un Paese che non funziona o che funziona per sempre meno cittadini. Chi ha rendite di posizione e benessere passato da proteggere, migliora la propria situazione relativa. Chi è in difficoltà o fa il suo ingresso nella vita adulta e professionale, si trova invece con crescente rischio di esclusione e restrizione di opportunità. Nel complesso il paese stenta a crescere e aumentano le diseguaglianze.

Giovani e “bufale” online. Come usare bene quella libertà di cui non riusciamo più a fare a meno

Viviamo in un mondo nel quale la possibilità di confronto, di accesso alle informazioni ed espressione libera delle opinioni è incommensurabilmente superiore rispetto a qualsiasi epoca precedente. Questo non significa però che la nostra capacità di comprendere la realtà, di ascolto degli altri, di relazione autentica, sia migliorata. Umberto Eco è arrivato provocatoriamente ad affermare che “i social media hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli”. Gli imbecilli, nell’accezione di Eco, sono coloro che non sanno formarsi una opinione fondata su un argomento ma sono ben pronti ad esprimere un proprio convinto giudizio. Antepongono la reazione emotiva e spontanea alla comprensione solida dei fatti. In passato la loro sfera di azione era limitata ai bar, senza danneggiare troppo la collettività, mentre ora hanno la stessa platea potenziale di un premio Nobel. Questa invettiva di Eco non deve però portare a pensare che il problema sia la Rete. Il web e i social network sono ormai irrinunciabili, non solo tra i giovani. La questione vera è allora come migliorarne l’uso e difendersi dalle insidie.

Questo tema è molto sentito dalle stesse nuove generazioni, come mostrano i dati della ricerca dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo che verrà presentata al convegno “Parole O_Stili” il 17 febbraio a Trieste. Emerge una convinzione forte da tale ricerca: la Rete e la libertà di espressione nei social network non possono essere messe in discussione. Questa convinzione non esclude l’aumento della consapevolezza sui limiti di questi strumenti. Per la grande maggioranza dei giovani intervistati il bello dei Social è proprio quello di poter esprimere apertamente il proprio punto di vista anche sulle questioni più controverse dell’attualità e farlo con linguaggio diretto e schietto. Esattamente come in passato avveniva nei bar, direbbe Eco. Il punto è quindi il fatto che oggi le opinioni non qualificate e le convinzioni infondate sono di dominio pubblico e possono essere rilanciate e amplificate senza limiti. C’è di più, gli imbecilli sono anche quelli più veloci a rilanciare notizie false perché non perdono tempo a verificarle, hanno quindi un vantaggio competitivo sugli altri nel decidere cosa far diventare virale (e quindi di successo) e cosa no. Questo i giovani lo sanno bene. Fanno molto uso dei Social ma ne hanno una fiducia molto bassa. Sanno che per la grande maggioranza sono un luogo di svago e divertimento, dove conta più ciò che di sé si vuol rappresentare che quello che si è veramente, la percezione più della realtà effettiva. Coerentemente con questo, l’86,6 percento degli intervistati ritiene che non vadano presi troppo sul serio perché i contenuti che vi si pubblicano possono essere tanto veri quanto “inventati”.

Se la convinzione che la Rete debba mantenersi luogo libero di espressione e la consapevolezza delle insidie presenti, sono trasversalmente condivise nelle nuove generazioni, molto articolati sono però gli stili e le strategie che i singoli adottano. C’è una parte minoritaria, ma non trascurabile, che non usa alcun tipo di protezione, ovvero si esprime senza filtri e condivide qualsiasi cosa in sintonia con il proprio stato emotivo, indipendentemente dall’autenticità dei contenuti. Una parte, non riuscendo a gestire i rischi si astiene, ovvero ritrae sfiduciata la propria presenza dai Social. Ma la parte più consistente è in continua ricerca di migliori strumenti per costruire relazioni creative e condividere informazioni utili sul web. E’ questa parte che va aiutata a crescere e a diventare vincente.

L’eccezione virtuosa di chi ai giovani dà una chance

Una popolazione diminuisce, invecchia, entra in una spirale negativa tra economia, demografia e benessere sociale, quando non funziona il ricambio generazionale. L’Italia demografica è in sofferenza perché le nascite sono precipitate e ci troviamo con sempre meno giovani, mentre cresce la componente anziana. Se i ventenni e i trentenni sono di meno, si ottengono di conseguenza ancor meno nascite, perché tali età sono al centro della vita riproduttiva. Se gli ottantenni sono di più, aumentano i decessi, per le condizioni di fragilità delle fasce molto avanzate. Come esito di queste dinamiche, nel nostro paese le nascite sono in diminuzione e i decessi in aumento, con uno squilibrio in estensione a favore dei secondi. Questo divario è stato nel passato controbilanciato dal saldo migratorio positivo. Ne 2015 per la prima volta tale compensazione è risultata però insufficiente per la diminuzione dei nuovi residenti arrivati dall’estero, ma anche per un aumento degli espatri, sia di italiani che di stranieri, in cerca di opportunità altrove.